In giro c’è un virus che ci ha portati alla pandemia. Nelle nostre case, invece, veniamo invasi da un altro tipo di contagio: l’infodemia.
Si tratta di uno tsunami mediatico che usa le onde di un’informazione quasi sempre superficiale ed inaffidabile, sia nei dati che nelle fonti, dove spesso c’è pure l’arte della manipolazione. Una diffusione virale che trova terreno fertile in una società sempre più connessa a telefonini, tablet e pc, per giunta provata dalla criticità del periodo e dal forzato distanziamento sociale.
Bulimia di notizie e dati
In pratica si tratta di una bulimia di notizie e dati che si alimenta in rete e si diffonde soprattutto attraverso i social network, i quali si cibano di like e condivisioni. Un sovraccarico di informazioni che, alla fine, riesce addirittura a deformare la realtà amplificando inutilmente ansie e paure, stimolando inquietudine ed intaccando umore e stati d’animo.
Accanimento di ricerche on line
Solo per ragionare su qualche dato, dall’inizio del 2020 le ricerche dei termini “corona virus” e query associate, quali “coronavirus news” e “virus covid-19” hanno avuto impennate impressionanti con miliardi di click codificati sul motore di ricerca GoogleTrends. E chissà cosa si accingerebbe a scrivere, oggi, in questo contesto di emergenza sanitaria, il professor David J. Rothkopf visto che già nel maggio del 2003, in un articolo pubblicato sul Washington Post, aveva fatto riferimento proprio all’infodemic come “circolazione eccessiva di informazioni contraddittorie e spesso non verificate, che rendono difficile orientarsi su un argomento”.
Ed effettivamente, in periodo di pandemia, la faccenda si sta complicando tanto che anche l’Organizzazione mondiale della sanità ha puntato i dito contro un’insana infodemia, definendola come “una sovrabbondanza di informazioni, alcune accurate e altre no, che rendono difficile per le persone trovare fonti affidabili quando ne hanno bisogno”. E anche l’Unesco si è messa contro questa “disinformazione nel diffondere fatti scientifici accertati riguardo al virus”.
Dannosi pregiudizi
Questo fenomeno basato su superficialità e manipolazione stimola anche il pregiudizio: pensiamo solo ai casi di intolleranza contro i cittadini di origini cinesi, all’inizio della diffusione del Covid-19. Oppure, in seguito, la distorsione della realtà con l’assalto ai supermercati spinto da ingiustificati motivi o la corsa alle armi da parte degli americani. Praticamente stanno venendo a galla tutti i limiti di una divulgazione di informazioni all’interno di un sistema collettivo infettato per primo dai social network, ormai considerati dal popolo del web, e non solo, principali veicoli di informazione, dove prendere tutto per buono.
Lo stile comunicativo in emergenza
Parole, immagini e comunicazione creano la nostra realtà. Per questo uno stile comunicativo semplice e puntuale è quanto mai necessario in contesti di emergenza come quello che stiamo vivendo, al fine di non condizionare la nostra capacità di comprensione, giudizio, attenzione ed elaborazione le informazioni. Per questo è bene verificare numeri e dati oltre l’attendibilità delle fonti. Lo stesso Ministero della Salute suggerisce alcune buone pratiche per isolare l’infodemia, invitando a segnalare le pagine che riportano notizie sbagliate, a non visitare in modo compulsivo i siti di informazione, a non avventurarsi in battaglie di commenti sui social e lavare la mente con libri e film senza dimenticare di dedicarsi agli affetti, parlando con amici e colleghi anche di argomenti diversi.
Un nuovo adattamento
In pratica serve un nuovo adattamento. Per dirla alla Charles Darwin, trovandoci catapultati in un contesto tutto nuovo in termini di emergenza sanitaria, dobbiamo cercare di non perdere l’occasione per evolverci anche in ambito di disintossicazione digitale ed infodemia. Proviamo a trovare un nostro vaccino anche per questo. Alla fine abbiamo tutti gli strumenti per autoregolarci senza lasciarci passivamente influenzare da superficiali e manipolatorie coscienze dell’internet-first. MG
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